giovedì 21 marzo 2013

Dulce ed Decorum est

Bent double, like old beggars under sacks,
Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge,
Till on the haunting flares we turned our backs
And towards our distant rest began to trudge.
Men marched asleep. Many had lost their boots
But limped on, blood-shod. All went lame; all blind;
Drunk with fatigue; deaf even to the hoots
Of tired, outstripped Five-Nines that dropped behind.

Gas! Gas! Quick, boys!---An ecstasy of fumbling,
Fitting the clumsy helmets just in time;
But someone still was yelling out and stumbling,
And flound'ring like a man in fire or lime...
Dim, through the misty panes and thick green light,
As under a green sea, I saw him drowning.

In all my dreams, before my helpless sight,
He plunges at me, guttering, choking, drowning.

If in some smothering dreams you too could pace
Behind the wagon that we flung him in,
And watch the white eyes writhing in his face,
His hanging face, like a devil's sick of sin;
If you could hear, at every jolt, the blood
Come gargling from the froth-corrupted lungs,
Obscene as cancer, bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues,---
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie: Dulce et decorum est
Pro patria mori.

(Poesia su un attacco col gas)

Piegati in due, come vecchi accattoni sotto sacchi,
con le ginocchia che si toccavano, tossendo come streghe, bestemmiavamo nel fango,
fin davanti ai bagliori spaventosi, dove ci voltavamo
e cominciavamo a trascinarci verso il nostro lontano riposo.
Uomini marciavano addormentati. Molti avevano perso i loro stivali
ma avanzavano con fatica, calzati di sangue. Tutti andavano avanti zoppi; tutti ciechi;
ubriachi di fatica; sordi anche ai sibili
di granate stanche, distanziate, che cadevano dietro.

Gas! Gas! Veloci, ragazzi! – Un brancolare frenetico,
mettendosi i goffi elmetti appena in tempo;
ma qualcuno stava ancora gridando e inciampando,
e dimenandosi come un uomo nel fuoco o nella calce…
Pallido, attraverso i vetri appannati delle maschere e la torbida luce verde,
come sotto un mare verde, l’ho visto affogare.

In tutti i miei sogni, prima che la mia vista diventasse debole,
si precipita verso di me, barcollando, soffocando, annegando.

Se in qualche affannoso sogno anche tu potessi marciare
dietro al vagone in cui lo gettammo,
e guardare gli occhi bianchi contorcersi nel suo volto,
il suo volto abbassato, come un diavolo stanco di peccare;
se tu potessi sentire, ad ogni sobbalzo, il sangue
che arriva come un gargarismo dai polmoni rosi dal gas,
ripugnante come un cancro, amaro come il bolo
di spregevoli, incurabili piaghe su lingue innocenti, –
amica mia, tu non diresti con tale profondo entusiasmo
ai figli desiderosi di una qualche disperata gloria,
la vecchia Bugia: Dulce et decorum est
pro patria mori


Wilfred Owen

domenica 17 marzo 2013

La fiera dei miracoli

Un miracolo comune:
l'accadere di molti miracoli comuni.

Un miracolo normale:
l'abbaiare di cani invisibili
nel silenzio della notte.
Un miracolo fra tanti:
una piccola nuvola svolazzante,
che riesce a nascondere una grande pesante luna.
Più miracoli in uno:
un ontano riflesso sull'acqua
e che sia girato da destra a sinistra,
e che cresca con la chioma in giù,
e non raggiunga affatto il fondo
benché l'acqua sia poco profonda.
Un miracolo all'ordine del giorno:
venti abbastanza deboli e moderati,
impetuosi durante le tempeste.
Un miracolo alla buona:
le mucche sono mucche.
Un altro non peggiore:
proprio questo frutteto
proprio da questo nocciolo.
Un miracolo senza frac nero e cilindro:
bianchi colombi che si alzano in volo.
Un miracolo – e come chiamarlo altrimenti:
oggi il sole è sorto alle 3,14
e tramonterà alle 20.01
Un miracolo che non stupisce quanto dovrebbe:
la mano ha in verità meno di sei dita,
però più di quattro.
Un miracolo, basta guardarsi intorno:
il mondo onnipresente.
Un miracolo supplementare, come ogni cosa:
l'inimmaginabile
è immaginabile.

sabato 16 marzo 2013

George Gray

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, e io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio -
è una barca che anela al mare eppure lo teme.

Edgar Lee Masters

venerdì 15 marzo 2013

A Dio

Sempre Te chiamo
quando tocco il fondo,
so il numero di telefono a memoria
e ti disturbo
come un maniaco
abbarbicato al telefono;
lascio un messaggio
se sei fuori. Perdona,
perdonami di tutto.
So che a volte cancelli
a qualche fortunato
il debito che tutti con te abbiamo.
La bolletta falla pagare
a me, ma dimmi almeno
che non farai togliere
la mia linea: ti prego,
quando echeggera'
quell'ultimo e doloroso
squillo, Dio - per Dio! -
non staccare, rispondimi.

Vittorio Gassman

giovedì 14 marzo 2013

Noi

Non dirmi mai ti amo
perche' le parole sono false
non dirmi mai ti sogno
perche' i sogni svaniscono
non dirmi mai sei il mio cielo
perche' il cielo si rabbuia
non dirmi mai sei il mio angelo
perche' gli angeli volano via
non dirmi mai ti desidero
perche' i desideri finiscono
non dirmi mai sei la mia vita
perche' la vita si consuma
dimmi solamente...ascolta
perche' il silenzio
parlera' per sempre di noi.

Pat Suedi

mercoledì 13 marzo 2013

E' come se ormai vivessimo dentro unita' temporali scandite dalla giornata. Non viviamo piu' anni, decenni, ere, epoche, ma giorno dopo giorno. Imprigionati in una struttura iterativa in cui le vicende dell'esistenza individuale e collettiva ci sfuggono perche' noi le misuriamo con un metro corto, un giorno alla volta. Non c'e' progressione, non c'e' crescita, c'e' solo accumulo. Sparisce da questo orizzonte il tempo della Storia, che ha segnato il XX secolo. Quella forma di organizzazione del racconto della vita, ma anche del sentimento del tempo, per cui io sto dentro la Storia, e cio' che faccio oggi si richiama all'opera di generazioni precedenti, e si ricollega a quella delle generazioni future: quel respiro ampio, quel racconto piu' grande, che ha caratterizzato nel bene e nel male, nella sua grandiosita' tragica, il xx secolo. Con il passaggio del tempo dalla Storia alla cronaca, si perde la possibilita' di dare un senso alle nostre sofferenze. E' venuta meno l'idea che la sofferenza patita possa essere redenta, in un tempo piu' grande, in un racconto maggiore. E cosi' la nostra esistenza scivola verso una direzione nella quale la cronaca e' sempre cronaca nera.

Antonio Scurati

lunedì 11 marzo 2013

O l'universo ha avuto un'origine

O l'universo ha avuto un'origine, che la scienza non ha ancora scoperto: in questo caso, e' stato preceduto da un'assenza totale dell'essere; questo significa che e' il risultato di un'estrazione dal nulla, che e' probabilmente indicibile (perche' per spiegare come il nulla abbia potuto cessare di essere nulla, bisogna riconoscergli delle proprieta' che, per il semplice fatto che esistono, fanno si' che si distingua da se', il che determina delle aporie insuperabili...). O l'universo non ha avuto origine: in questo caso, c'e' sempre stato dell'essere, mai del nulla; quindi, evidentemente, la questione dell'origine dell'universo non si pone piu', era solo un problema mal formulato, ma e' sostituita da un'altra questione, la piu' impenetrabile di tutte, quella dell'essere: perche' l'essere invece del niente?

Etienne Klein