Se muoio seppellitemi con la cassa armonica della mia viola,
che il legno sottile del mio involucro possa risuonare
e far tremare gli alberi e le rocce; che tutti gli strati del giurassico
riflettano le onde del mio violoncello: la mia lingua, le note,
lei si, lei muore se il mio stradivari non e' piu' suono e sostanza, la mia,
la vostra, di voi che nascenti o nascituri riceverete dal fondo della lingua
cio' che rimbomba al di la'.
Giorgio Manacorda
Nota di lettura di Paolo Febbraro
Manacorda e' un poeta romantico nel senso profondo del termine. I versi riportati qui sopra rappresentano il ventesimo episodio di un libro di elegie ancora inedito, in cui Manacorda esplora la potenza e le sconfitte della poesia come mai gli era accaduto finora. E questa esplorazione si rivela un ritorno: l'abissale seppellimento del poeta nella terra madre, la sonora vicinanza della lingua della "sostanza", insomma il piu' romantico slanciarsi verso la vertiginosa origine si risolve nell'infinita immagine di Orfeo, il cui canto fa "tremare gli alberi e le rocce". Forse e' l'io del poeta che deve morire per consentire alla poesia di rimandare ad altri "cio' che rimbomba al di la'"
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